Nella tappa precedente ci eravamo fermati di fronte a un interrogativo: perché non esiste pensiero vivo senza un passo?
Nietzsche risponde chiaramente. È una questione di organi e di fisiologia. È facile intuire cosa c’è in gioco in questi suoi pensieri: smettere di separare corpo e anima. Nietzsche celebra l’unità dell’intestino e dell’intelletto. L’organismo vivo è la fonte di ogni pensiero. Si scrive bene, afferma, «soltanto con i piedi». Il fremito delle gambe, la vivacità del passo sono criteri che non ingannano: «Dallo stesso incedere si scorge se alcuno cammina già sulla propria via. Ma chi si accosta alla sua meta…quegli danza», dice Zarathustra.
Che cosa giustificano queste affermazioni?
Certamente il filosofo non si pone il problema se questa condizione del corpo camminante-pensante sia vera o falsa: egli scredita i vecchi privilegi della verità e tesse l’elogio delle illusioni necessarie. Ed è qui che possiamo cogliere un messaggio profetico anche per il presente: evoluzione, cambiamento, e non identità fissa, postura bloccata. Se Nietzsche pensa attraverso la marcia, è anzitutto perché ciò che gli interessa è il divenire. Nella scia di Eraclito, predilige il flusso della realtà, l’incessante cambiamento delle cose e degli individui, delle forme e degli istanti. Anziché l’immutabile, l’eterno, le forme fisse e le idee cristalline vagheggiate da Paltone e dall’Occidente al suo seguito, Nietzsche si rifà alla metamorfosi di ogni cosa. Nulla resta identico. Tutto scorre, cambia, si trasforma, muore, rinasce. L’immobile è irreale, soltanto il camminare si addice al mondo. E di qui il regalo che ci lascia: il camminare in altezza è accedere al panorama. Avere una visione più ampia, più vasta del nostro luogo abituale. Vedere più in là della punta delle nostre scarpe. Soltanto dall’alto si coglie come nascono e muoiono sentimenti, istinti, valori… Camminare, in tal caso, non è viaggiare. È muoversi fuori del quadro, per contemplare il mondo e la vita da un’altezza maggiore!